venerdì 30 ottobre 2015

Piero Golia e gli anarchici del Nudo: un'esperienza rimossa | Prontuario di psicanalisi spicciola

Dal momento che Piero Golia non ha mai fatto menzione del suo periodo di apprendistato all'Accademia di Belle Arti di Napoli (1995-1997), comincio a domandarmi perché il Nostro abbia rimosso un'esperienza così ricca ed esclusiva. Specialmente considerando l'assiduità della sua presenza con il gruppo degli anarchici. Trattandosi di un evidente caso di rimozione, vediamo se può essere di aiuto la psicoanalisi...

Rimozione: termine della psicanalisi che indica l'"espulsione ed esclusione dalla coscienza" di pensieri, immagini, ricordi, sentiti come pericolosi dall'Io, che perciò se ne difende relegandoli nell'inconscio. La rimozione è il principale meccanismo inconscio di difesa dell'Io. Così Freud la descrive "L'Io percepisce una richiesta istintuale proveniente dall'Es alla quale vorrebbe resistere poiché sospetta che il suo appagamento potrebbe essergli pericoloso, in quanto capace di provocare una situazione traumatica, una collisione con il mondo esterno a cui non saprebbe tener testa dal momento che gliene mancano ancora le forze. L'Io si comporta quindi con il pericolo derivante dall'istinto come se si trattasse d'un pericolo esterno: intraprendendo un tentativo di fuga, ritirandosi da questa porzione dell'Es e abbandonandola al proprio destino dopo averle negato tutto l'aiuto che solitamente fornisce ai moti istintuali [...] Con l'aiuto della rimozione l'Io segue il principio del piacere, che altrimenti è solito correggere, ma ne deve subire le conseguenze; queste consistono nel fatto che l'Io vede ormai definitivamente ridotta la propria sfera d'influenza. Il moto istintuale rimosso sarà d'ora in avanti isolato, abbandonato a se stesso, inaccessibile, ma anche non influenzabile. Esso procederà per la propria strada".
Scrittori e opere, Marchese/Grillini – ed. La Nuova Italia

 
Piero Golia all'Accademia di Belle Arti di Napoli - giugno 1997

mercoledì 28 ottobre 2015

Sintesi del pensiero anarchico | Proudhon, Bakunin e Kropotkin

Anarchismo: movimento politico sviluppatosi in Europa nell’Ottocento ad opera di teorici di nazionalità diverse e tendente a instaurare una società in cui gli individui siano totalmente liberi da condizionamenti economici, politici, sociali e religiosi. Tale libertà assoluta richiede: l’abolizione del governo e dello Stato, in quanto poteri estranei e incombenti dall’alto; la collettivizzazione della  proprietà dei mezzi di produzione (essendo la proprietà privata uno strumento di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo); e il massimo decentramento dell’amministrazione, onde consentire agli individui e ai gruppi di organizzare nel modo più rispondente ai loro interessi sia la produzione che la distribuzione della ricchezza. Il mezzo per la realizzazione dell’anarchia è la rivoluzione, che deve limitarsi però all’eliminazione degli istituti del capitalismo senza instaurare alcun altro potere centralizzato (a differenza del programma marxista che prevedeva la dittatura del proletariato come fase transitoria verso la soppressione delle classi sociali e l’instaurazione della società senza classi).
Le idee dell’anarchismo furono elaborate soprattutto dal francese P.-J. Proudhon (1809-1865) e dai russi M. A. Bakunin (1814-1876) e P. A. Kropotkin (1842-1921). Il primo propose fra l’altro la sostituzione del salario con una retribuzione calcolata in proporzione al lavoro prestato (in modo da eliminare lo sfruttamento) e varie misure mutualistiche (come l’istituzione della cooperazione, del credito gratuito e di una “banca del popolo”).
Il secondo, diffondendo le idee di Proudhon fra le prime organizzazioni operaie, sostenne la necessità di combattere ogni forma di centralismo, respinse la lotta politica e il suffragio universale come strumenti inadeguati di emancipazione e propugnò invece il metodo dell’insurrezione. La proprietà collettiva delle materie prime e degli strumenti di lavoro (fatta salva solo quella delle cose personali) avrebbe dovuto proteggere gli individui dallo sfruttamento, consentendo in tal modo il libero sviluppo della personalità.
L’anarchismo si scontrò in seno alla Prima Internazionale (1864) con la componente marxista, che riuscì ad espellerlo al congresso dell’Aia del 1872. Nei decenni successivi si verificò una lenta crisi del movimento anarchico a favore della concezione elaborata da Marx ed Engels, e il passaggio di alcune frazioni all’azione terroristica che fece vittime in vari paesi (compresa l’Italia, con l’assassinio di re Umberto I nel 1900) e negli Stati Uniti.
Scrittori e opere, Marchese/Grillini – ed. La Nuova Italia


Michail Aleksandrovič Bakunin, rivoluzionario, filosofo e anarchico

sabato 10 ottobre 2015

Piero Golia e la grande mela | Il viaggio a New York

Nei primi mesi del 1997, Piero Golia si recò a New York per un viaggio di acculturazione sull'arte a stelle e strisce. Quando ritornò in Accademia, disse che aveva visto un quadro simile al mio Sassofonista in una galleria di New York. Mosso da curiosità per la coincidenza, Piero Golia aveva chiesto il prezzo del quadro, perché, aggiunse, in America (Stati Uniti d'America) anche chi veste come uno straccione in realtà può essere un ricco in incognito...
 
Sassofonista, quadro simile a quello visto da Piero Golia
Ebbene: Piero Golia disse che quel quadro così simile al mio Sassofonista costava $10.000. Diecimila dollari! Però...

domenica 28 settembre 2014

Enrico Cajati e il camorrista | Paolo La Motta al Castel dell'Ovo

Questo post è una testimonianza su un modo, probabilmente l'unico, di essere artisti.

Dedicato a Piero Golia.

Su Enrico Cajati circolava una storiella che pareva spuria, invece ho verificato essere autentica al 100%.
Non è una storia da manuale, tipo quelle raccontate da Saviano o dal Mattino di Napoli, storie che narrano le gesta da far west della criminalità organizzata napoletana. Soffermandosi unicamente sull'aspetto flokloristico e stucchevole del fenomeno. Dato che anche il far west è un'invenzione cinematografica...

"C'era una volta un pittore che amava vivere i vicoli di Napoli. Un uomo semplice e schietto che era riuscito a farsi apprezzare fin da giovane: a 28 anni fu invitato alla biennale di Venezia.
In quello stesso periodo c'era un camorrista, rampollo, neanche a dirlo, di una famiglia di noti delinquenti. Il camorrista aveva un problema: doveva reinvestire e riciclare i soldi sporchi che tanto facilmente incamerava. Dato che, nella sua volgarità, si riteneva un tipo fine, decise di dedicarsi all'arte contemporanea. Nella sua mente primitiva, aveva infatti notato che gallerista faceva rima con camorrista, e poi che entrambe le parole erano formate da 10 lettere! 
Che mente elevata, non riusciva proprio capacitarsi di saper esprimere cotanto genio.
Di artisti ne trovava a bizzeffe, di ogni nazionalità, formazione e indirizzo artistico, dato che nessuno andava per il sottile sulla provenienza di quei soldi. Pecunia non olet, dicevano gli antichi.
Un giorno il “gallerista” era venuto a conoscenza di quel pittore venuto dal nulla e si era messo in testa di farne un artista della sua scuderia: voleva lanciarlo, come si dice in gergo.

Il pittore accettò, era una persona di una semplicità sconcertante, parlava con tutti. Accettò l'incarico e l'assegno di alcuni milioni, pare 10, che all'epoca erano una vera fortuna: lo stipendio medio era di poche centinaia di migliaia di lire. 
Il pittore, però, cominciò col prendere tempo prima di onorare il patto, il tempo passava e i quadri non erano mai pronti. Non era tanto convinto dell'affare: per lui la provenienza di quei soldi faceva la differenza. Così i quadri non erano mai pronti. La pazienza del “gallerista” cominciò a vacillare, non ne poteva più di quelle risposte evasive, era un tipo fine, ma fino a un certo punto. Un giorno prese di petto la situazione e arrivò a minacciare il pittore: “Se non mi ridai i soldi ti rompo la testa!”. 
Il pittore tirò fuori l'assegno e glielo porse: non l'aveva neanche incassato!"
Dunque il  pittore è Enrico Cajati, del camorrista non è il caso di fare il nome: farsi denunciare da una merda simile sarebbe il colmo per me!

Paolo La Motta alla mostra antologica di Enrico Cajati - Castel dell'Ovo, 2006

mercoledì 11 giugno 2014

# L’articolo - p. II # | Enrico De Simone, Carlo fermi e Max Mauro - La Voce d'Italia, Caracas: giornale fascista con velleità sinistroidi | Gaetano Quagliariello

Andammo alla pizzeria Nonna bella di Chacaito e ordinammo delle pizze.

Scendendo da via Nivaldo, nei pressi della mia abitazione, incrociammo un tipo semi alcolizzato che nei primi tempi aveva provato a spillarmi dei soldi. Fino al giorno che,  avendomi chiesto di tenergli della refurtiva in casa, lo misi a posto una volta per tutte. Anche se quello era un quartiere residenziale, infatti, confinava con la favela, che in Venezuela si chiama rancho. La qual cosa non mi scandalizzava: mi sono sempre piaciuti i luoghi popolari. Ma quando raccontai ai compaesani la storia di quel tipo, loro si galvanizzarono, fu il tema della serata in pizzeria.

Max Mauro era in Venezuela da poco ed era stato alloggiato dal responsabile del giornale fascista per cui lavorava (La Voce d’Italia) in un albergo mal frequentato, raggiungerlo di sera a piedi voleva dire esporsi a rapina certa, dato che si trovava in una zona della città completamente al buio. Neanche fosse stata la bocca dell’inferno.

Max ci raccontò di alcuni personaggi equivoci che risiedevano nel suo hotel. Carlo Fermi scriveva messaggini a ruota.

L’altro argomento della sera, neanche a dirlo, furono i miei quadri. Le prime osservazioni partirono da Carlo Fermi, il quale quella sera era lì per puro caso: per vedere la casa dove vivevo... A seguire attaccò Enrico De Simone che, anche quella sera, mi pareva il suo fido cagnolino da compagnia.

In sostanza i due compari mettevano in dubbio l’autenticità della mia produzione pittorica. 

La Voce d'Italia - 9 maggio 2006 Caracas


Da non credere, quei due vermi, due venduti agli ordini di chissà chi, che davano del venale a me. Sembrava il colmo dei colmi. Ed erano lì per puro caso. O almeno, questa era la loro versione.

Alla fine della pizza e delle chiacchiere, Carlo Fermi tirò le fila della forbita conversazione: dato che io ero forte e non avevo paura, avrei accompagnato Max al suo albergo che non era molto distante dalla piazza. Poi sarei tornato col taxi. Lui intanto andava, perché aveva un impegno: era un uomo di mondo, lui... (È per questo che pochi anni dopo, Carlo Fermi si installerà a Medellin, capitale mondiale della cocaina, in Colombia).

“Non se ne parla”, gli risposi. Provarono inutilmente ad insistere i due compari.

Alla fine si rassegnarono: saremmo andati con Enrico e Pier ad accompagnare Max.

Eravamo nella piazza di Chacaito, stavo scrivendo l’email del Pier sul cellulare, ad un certo punto notai il negretto che guardando verso di noi, saltò giù dal muretto dov’era seduto insieme ad altri. Non ci diedi il giusto peso e quelli presero a seguirci. A un certo punto, poco prima di uscire dalla piazza, parte di quella teppa ci superò, prendendo diverse direzioni.

Neanche il tempo di raccapezzarmi e pensare: “ Ma che storia è questa?...”, che venni colpito alla nuca. Che botta!

L’ultima scena che vidi prima di perdere i sensi fu Enrico De Simone: si girava come uno che già conosca il copione e con la sua nota espressione sulla faccia abbassa la testa, come a dire: “Ben ti sta!”. E molto casualmente a lui nessuno lo toccò.
Quando mi ripresi avevo il braccio del negretto che mi stringeva al collo. Il tipo era più basso di me, ma aveva un avambraccio di tutto rispetto e si teneva ben piantato al suolo. Ebbi la mia brava reazione e provai a scrollarmi da dosso quell’animale. Gli afferrai il braccio con entrambe le mani, tirai in avanti verso il basso e gridai come un animale. Ecco, due animali.
Ero fuori forma, e il negretto non fece il volo che avrebbe dovuto fare, ma dovette muoversi in avanti con passi veloci per non cadere. Aveva le scarpe lucide di pelle con la suola in cuoio che battendo sulle pietre della piazza, producevano uno scalpiccio piuttosto acuto. La scena aveva del comico.

Si fermò di fronte a me a tre metri circa. Ci fronteggiavamo io e il negretto e il tipo fece il gesto di mettere le mani dietro la cintura per prendere il coltello.

A quel punto scappai, senza molta convinzione, mi pareva di andare al rallentatore. In quel momento uno di quei figli di troia mi lanciò una bottiglia di birra che si fracassò sulla coscia in prossimità del mio ginocchio sinistro.

Ritornai nella piazza e mi fermai. Avevo ancora il cellulare nella mano sinistra. E i miei compagni?

Un attimo dopo vidi un tipo ridicolo che correva a slalom. Era Enrico De Simone.

Non si perse d’animo il periodista di destra, quel finto chavista subito prese ad aggredirmi verbalmente: era colpa mia se ci avevano aggredito; camminavo col cellulare in mano. “E guarda lì che ti sei fatto!

Si sentì uno sparo e dopo si vide la teppaglia scappare nella nostra direzione. Ritornammo al ristorante Nonna bella. Enrico chiamò la polizia. Io mi feci dare del ghiaccio per l’ematoma della bottigliata.

La polizia era già lì. Una pattuglia in moto aveva sentito il mio grido. Poi aveva incrociato Pier che gli aveva indicato il luogo dell’aggressione. Avevano sparato in aria per disperderli. Non avevano neanche tentato, che so, di acciuffarne qualcuno.

Prendemmo un taxi per tornare a casa. Passando davanti ad una pensilina degli autobus c’erano dei ragazzi. Appartenenti a quella teppa, ci avrei scommesso. Ero ancora dell’idea che andassero acciuffati ma non lo dissi a Enrico, a che serviva. 
E dire che avevo attraversato quella piazza Chacaito decine di volte, anche di notte, da solo, dato che era il punto di incontro per le uscite. Mai successo neanche l'accenno di una rapina. Quando si dice: meglio soli che male accompagnati...

A casa continuai a tenere il ghiaccio sull’ematoma e mi fumai una sigaretta.

Il giorno dopo, il 30 aprile del 2006, Enrico De Simone mi inviò questo messaggio: Hola guerrero, todo bien? Il grande "amico" che oggi scrive per un giornale online cui fa capo uno dei colonnelli del partito piduista, Gaetano Quagliariello.

Quando ci rivedemmo Pier non ci poteva credere: “Ti hanno aggredito in due e li hai messi fuori gioco...”. Non ricordavo che erano in due, però ripensandoci mi tornò in mente, il secondo l’avevo colpito col dorso della mano sinistra al volto. Era stata la mia reazione prima di perdere i sensi.

Più di una persona mi dirà in seguito che ho fatto male a reagire, che così rischiavo la vita e cose del genere... Sono certo che avrei rischiato di più se non avessi reagito. Erano mal intenzionati dal  primo momento, almeno nei miei confronti. A Enrico, infatti, non lo avevano neanche sfiorato. Il Pier era riuscito a divincolarsi  Max si era ritrovato a terra mentre quelli gli frugavano nelle tasche.

Su una cosa concordammo e fu abbastanza scioccante: erano tutti ben vestiti. Una élite di marioli, del tipo che lavorano su commissione. Non a caso.

Avevo da poco denunciato all’autorità competente quegli infami delinquenti in grisaglia dell’associazione Agustin Codazzi, la scuola presso cui avevo lavorato a Caracas. E meno male, perché ho potuto mettere un punto fermo nei confronti di quella gente, e del regime che li protegge e che un domani, grazie ad apparati deviati dello Stato, avrebbe potuto avallare altre menzogne, più o meno come hanno provato a fare senza successo quegli infami della cricca Codazzi al Tribunale di Caracas.

giovedì 30 gennaio 2014

Ciclista in bianco e nero. The biker man stronger | Piero Golia non c'era

Ho sempre amato la pittura densa e materica, e, da quando ho iniziato a imbrattare tele, ho prediletto le tempere agli acquarelli, la penna alla matita, e l'olio all'acrilico...
Avevo una certa curiosità di usare gli smalti, quelli industriali, così nel 1994, li sperimentai usando della pittura avanzata da lavori di tinteggiatura in casa.
Disegnavo costantemente da almeno 3 anni e avevo da poco cominciato ad abbozzare direttamente senza alcun disegno preliminare. Allo stesso modo in quel periodo cominciavo a costruire le figure senza riferimento iconografico: andavo a memoria.
Il ciclista venne fuori così, smalti su cartone. 
Ciclista, smalti su cartone 1994 - Gianluca Salvati
Quando portai il quadretto in accademia ebbe un discreto riscontro. In seguito il prof mi disse di farlo incorniciare per esporlo alla mostra di fine corso. Nel 1994 ne tenemmo due, la prima fu allestita in una sede dell'università di medicina. In quella prima esposizione presentai un altro quadro. Dopodiché partii per Lugano: erano gli ultimi giorni della mostra di Emil Nolde, un pittore che adoravo e non volevo assolutamente perdermi. I miei compagni si preoccuparono di allestire i miei lavori alla seconda mostra al bar dell'Epoca in via Costantinopoli. 
Piero Golia non c'era, non ancora.

La mostra di Emil Nolde a Lugano faceva, a dir poco, pena, non perché avessi cambiato idea su quell'artista, ma perché la qualità dei lavori era estremamente bassa e commerciale. Capita, purtroppo che si adoperi un nome di richiamo lavorando sul battage pubblicitario da un lato, per poi presentare gli scarti di produzione di un autore. 
Per fortuna in quel periodo c'era la mostra di un altro pittore che ammiravo, Nicolas de Staël . La prospettiva di Nicolas de Staël si teneva nei pressi di Parma, ed era curata non bene, ma benissimo. La qualità dei lavori era molto alta. Cosicché fu un piacere acquistare il catalogo di quel pittore  così interessante e così attuale. 
In quegli stessi giorni avevo saputo da mio fratello che “...c'era una sorpresa...”. Cos'era successo? 
Un professore del conservatorio aveva visitato la nostra esposizione colletttiva a Napoli ed era rimasto positivamente impressionato dal quadro Ciclista: Patagonia controvento. Quel signore si era presentato diverse volte al bar chiedendo informazioni sul quadretto: dire che fosse molto motivato all'acquisto era un eufemismo. Il prof a un certo punto si era fatto scrupolo di far chiamare a casa per avvisare; la cosa era stata presa con nonchalance dai miei e il quadro restò invenduto. Nondimeno fu un bel riscontro per la mia prima uscita, in fin dei conti dipingevo seriamente da appena 2 anni.

mercoledì 22 gennaio 2014

La performance arboricola di Piero Golia nei giardini di Arte Fiera a Torino

TORINO - L'artista concettuale Piero Golia, si è imbarcato in una mirabolante performance in anteprima mondiale nei giardini di Arte Fiera a Torino. 
Gli ospiti, poche centinaia di eletti, hanno potuto ammirare l'agilità e la scioltezza di membra che hanno permesso a Piero Golia di salire sin quasi alla cima dell'albero di palma (ben 7 metri di altezza!).
A quel punto, come il prete sul pulpito, Piero Golia si è lanciato in una petizione pubblica per l'acquisto di un suo lavoro. E sì che in tempi di crisi bisogna pensarle proprio tutte!
La scintillante prova ascensionale, unita a una patetica, a dir poco, richiesta da postulante, ha provocato nei presenti profonde riflessioni sul significato ultimo dell'esistenza.

(L'uomo della strada avrebbe saputo dare la giusta interpretazione a cotanta opera concettuale, definendola per quello che è: un quadro della disperazione...)
 

Questa patente dimostrazione delle lodevoli risorse concettuali di Piero Golia, spazza ogni dubbio sul suo essere artista totale.
Nel onemanshow di Torino, egli ritrova alcuni tratti stilistici che hanno già caratterizzato la sua opera prima (Napoli 1997); anche in quel caso il Nostro esprimeva il disagio e la confusione esistenziale che lo contraddistinguono tramite un sonoro, registrazione della propria voce personale, rimandato all'infinito...
La performance arboricola di Piero Golia rimanda il fruitore al lontano passato della specie umana. Passato che, in alcune persone particolarmente sensibili, ritorna come un mantra, con la potenza del mito, risuonando come un monito alla costante distruzione dell'ecosistema del pianeta Terra.
Salutiamo le istanze ecologiste derivanti da un gesto così oltraggiosamente agitato da un Piero Golia sopra le righe.


Piero Golia: l'arboricolo - biro su carta - Gianluca Salvati