Questo post è una testimonianza su un modo, probabilmente l'unico, di essere artisti.
Dedicato a Piero Golia.
Su Enrico Cajati circolava una storiella che pareva spuria, invece ho verificato essere autentica al 100%.
Non è una storia da manuale, tipo quelle raccontate da Saviano o dal Mattino di Napoli, storie che narrano le gesta da far west della criminalità organizzata napoletana. Soffermandosi unicamente sull'aspetto flokloristico e stucchevole del fenomeno. Dato che anche il far west è un'invenzione cinematografica...
Non è una storia da manuale, tipo quelle raccontate da Saviano o dal Mattino di Napoli, storie che narrano le gesta da far west della criminalità organizzata napoletana. Soffermandosi unicamente sull'aspetto flokloristico e stucchevole del fenomeno. Dato che anche il far west è un'invenzione cinematografica...
"C'era una volta
un pittore che amava vivere i vicoli di Napoli. Un uomo semplice e
schietto che era riuscito a farsi apprezzare fin da giovane: a 28 anni
fu invitato alla
biennale di Venezia.
In quello stesso periodo
c'era un camorrista, rampollo, neanche a dirlo, di una famiglia di noti
delinquenti. Il camorrista aveva un problema: doveva reinvestire e
riciclare i soldi sporchi che tanto facilmente incamerava. Dato che,
nella sua volgarità, si riteneva un tipo fine, decise di dedicarsi
all'arte contemporanea. Nella sua mente primitiva, aveva infatti
notato che gallerista faceva rima con camorrista, e poi
che entrambe le parole erano formate da 10 lettere!
Che mente elevata, non riusciva proprio capacitarsi di saper esprimere cotanto genio.
Che mente elevata, non riusciva proprio capacitarsi di saper esprimere cotanto genio.
Di artisti ne trovava a
bizzeffe, di ogni nazionalità, formazione e indirizzo artistico,
dato che nessuno andava per il sottile sulla provenienza di quei
soldi. Pecunia non olet, dicevano gli antichi.
Un giorno il “gallerista”
era venuto a conoscenza di quel pittore venuto dal nulla e si era
messo in testa di farne un artista della sua scuderia: voleva
lanciarlo, come si
dice in gergo.
Il pittore accettò, era una
persona di una semplicità sconcertante, parlava con tutti. Accettò
l'incarico e l'assegno di alcuni milioni, pare 10, che all'epoca
erano una vera fortuna: lo stipendio medio era di poche centinaia di
migliaia di lire.
Il pittore, però, cominciò col prendere tempo prima di onorare il patto, il tempo passava e i quadri non erano mai pronti. Non era tanto convinto dell'affare: per lui la provenienza di quei soldi faceva la differenza. Così i quadri non erano mai pronti. La pazienza del “gallerista” cominciò a vacillare, non ne poteva più di quelle risposte evasive, era un tipo fine, ma fino a un certo punto. Un giorno prese di petto la situazione e arrivò a minacciare il pittore: “Se non mi ridai i soldi ti rompo la testa!”.
Il pittore, però, cominciò col prendere tempo prima di onorare il patto, il tempo passava e i quadri non erano mai pronti. Non era tanto convinto dell'affare: per lui la provenienza di quei soldi faceva la differenza. Così i quadri non erano mai pronti. La pazienza del “gallerista” cominciò a vacillare, non ne poteva più di quelle risposte evasive, era un tipo fine, ma fino a un certo punto. Un giorno prese di petto la situazione e arrivò a minacciare il pittore: “Se non mi ridai i soldi ti rompo la testa!”.
Il
pittore tirò fuori l'assegno e glielo porse: non l'aveva neanche
incassato!"
Dunque il pittore è Enrico Cajati, del camorrista non è il caso di fare il nome: farsi denunciare da una merda simile sarebbe il colmo per me!
Paolo La Motta alla mostra antologica di Enrico Cajati - Castel dell'Ovo, 2006 |
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